Historia
Della vita e delle vicende dell’illustre
Barone Rubizzo Dal Verme
1654 - 1745
Fra Ciucchetta pensò che il gatto doveva aver ingoiato un passero intero, piume comprese, per i versi che faceva. Siccome la bestia non smetteva, uscì nella corte aperta del convento dove arrivavano i carri dell’uva e dove si ammassavano cassette, ceste, tini da aggiustare e botti da bussare. Il gatto non c’era ma su un tinozzo rovesciato pronto per l’uso, il religioso trovò un fagotto che emetteva suoni e versi simili a miagolii.
“Per Bacco!” esclamò “Un gettatello!”. Il neonato era paonazzo per il gran piangere e per questo il frate cantiniere, che da quel giorno si prese cura di lui per allevarlo come un figlio, lo chiamò Rubizzo. I panni e le fasce in cui era avvolto erano scadenti: era sicuramente un bastardino, figlio del popolo, aveva però una cordina al collo con appeso un ciondolo nel quale era stampigliato uno strano ghirigoro. Un segno, simile a una bisciolina riportata in verticale, che nessuno dei frati o abitanti dei dintorni seppe interpretare.
La prima cosa che fra Ciucchetta fece, avuto il permesso dal Padre Superiore di tenere il bambino, fu di fargli un bagnetto. Ne aveva bisogno e in una tinozza di acqua tiepida, nella cucinona del convento, immerse il piccolo che nel frattempo si era calmato. Di colpo, la pelle tenera e delicata del bambino si coprì di bolle si arrossò come se fosse stato esposto al sole cocente o a fiamme incandescenti. Il frate erborista, chiamato a risolvere il busillis, disse: “E’ allergico all’acqua!” e siccome era impensabile farlo crescere senza lavarlo, lo speziale consigliò di immergerlo sempre nel vin sottile o nel vino annacquato.
Ovviamente fu tenuto a battesimo da Fra Ciucchetta e asperso col Vin Santo mentre per rafforzare i suoi primi passi, gli vennero immersi i piedini in un buon rosso corposo come si era abituati a fare coi pulcini per aiutarli nella crescita. Problemi nello sviluppo, comunque, non ce ne furono mai: Rubizzo mangiava e beveva come un grande, studiava la natura e invece delle tabelline elencava i vari tipi di uva. Grandicello imparò il latino dal Padre Superiore e la prima frase che scrisse sul quaderno, nella lingua antica, fu: “In vino veritas!”
Passarono gli anni. Il pupo divenne grande e il padre adottivo mise la barba bianca e, strada facendo, gli insegnò tutto quello che sapeva sull’uva e sul vino. A nessuno venne in mente di indagare sui natali del giovane e a lui meno che meno: i frati erano la sua famiglia, la cantina la sua casa e l’epoca della vendemmia il periodo più bello dell’anno. Ma ... ma un bel giorno un cavaliere giunto dal paese di Vignagranda che si trovava due colli, due fiumiciattoli e duecento vigne più a sud, bussò alla porta del convento.
“Il barone Beone Dal verme, Gran Coppiere dell’Imperatore, Gran Maestro dei Trincatori, Grand’ufficiale dei Difensori delle vigne, Primo Cavaliere del Santo Graal, sta per rendere l’anima al Creatore!” proclamò tra l’enfatico e il patetico il messaggero davanti ai frati riuniti nel Capitolo.
“Ci dispiace e pregheremo per lui, ma noi che altro possiamo fare?” disse il Padre Superiore con faccia contrita.
“ I due figli maschi, pretendenti al trono, ahimè “defunsero” ... uno annegato in un bottone pieno di mosto e l’altro soffocato, mentre dormiva ubriaco dove non doveva essere, da una montagna di uva scaricata dai loro carri dai vignaiuoli del paese. Il mio signore si rammarica di lasciare questo mondo, la sua famiglia, i suoi uomini, il suo castello. Chi continuerà la lotta con la Contea di Bevilacqua? Chi perpetuerà nel tempo l’illustre, frizzante, fruttata, profumata, abboccata, armoniosa, aromatica, sapida, fresca, delicata, intensa, succosa, persistente, scorrevole, floreale ... Casata dei Dal verme? Ormai si respira un’atmosfera di morte anche se il nostro Signore vive perché, sparito lui, le sue terre, le nostre case, le belle vigne, le nostre bestie, le nostre figlie, le nostre mogli ...passeranno nelle mani dei nemici.
“Ohibò! Signore santo! Per Bacco!” esclamarono i frati.
“Ma, ma...” continuò il Cavaliere “ una vecchietta si è ricordata che una sua nipote giovincella era stata ingravidata dal Barone sotto una vite diciotto anni orsono e che sotto una vite, al tempo della vendemmia, aveva partorito un puttino!”
“Oh ... ma guarda! Per mille otri di vino secco!”
“Insomma, per farla breve” continuò il messaggero “dopo ricerche, indagini, interrogatori, ispezioni ... sappiamo che l’erede di Nostra Signoria è qui, al vostro convento!”
I buoni frati si guardarono esterrefatti l’un l’altro. Chi aveva fili d’argento nella barba e nei capelli fu subito escluso, due o tre che per età potevano essere papabili, avevano genitori o famiglia.
Tra i novizi fu subito identificato Rubizzo che fu mandato a chiamare e che, corpo di mille boccali di vino rosso, si scoprì figlio del barone dall’oggi al domani. La certezza fu raggiunta quando presentò il ciondolo che portava al collo da neonato: il barone per riconoscere i propri bastardi, alla giovincella ingravidata, lasciava un segno della propria munifica personale attenzione.
Per Rubizzo fu subito sellato un destriero altero e nervosetto che si chiamava Bacco e il giovane dopo baci, abbracci e brindisi di commiato lasciò Fra Ciucchetta, i suoi confratelli e la sua vecchia, tranquilla vita.
Il barone, sdraiato in un grosso lettone che altro non era che una botte tagliata a metà che i servi dondolavano come una culla, aveva il corpo ridotto a una graspa e fece appena in tempo a riconoscere, di fronte ai notabili del suo dominio, il figlio come proprio e unico erede. Finalmente, dopo aver sorbito una coppa di Brut Grand Cuvée del 1318, alzò beato gli occhi al cielo e disse: “Prosit”.
Rubizzo si trovò Signore del Casato dei Dal Verme, padrone di un castello che aveva la cantina più grande di tutto l’impero, proprietario di una distesa sterminata di vigne, comandante in capo di un corpo di armigeri dal naso rosso e dagli occhi lucidi che in battaglia, all’attacco, gridavano:
“Per Vignagranda! A morte l’acqua e viva il vino!”
Fu un barone degno del suo casato, contrastò l’umidità, la muffa, il vapore ... tutto ciò che aveva a che fare con l’acqua, a parte quella benedetta che scendeva dal cielo per irrorare le viti. Ebbe molti figli, legittimi e no, ai quali insegnò per prima, la parola: “vino”. Fondò l’Ordine dei Cavalieri dei Dal Verme per estendere agli amici e a chi ne fosse degno un’onorificenza che li affratellasse.
Il rito, tenuto segreto, che avveniva nelle cantine del castello per accogliere i neofiti, diede adito a molte dicerie e leggende. Si diceva che la mattina dopo i cavalieri , quando uscivano dai sotterranei del maniero profumati di vino, sembrassero uscire dalle nebbie di un mondo stravagante; probabilmente avevano visto cose incredibili e qualcuno afferma parlassero lingue bislacche che solo loro capivano.
Giovanna Giacobazzi
Natale 2009
Creato nell’autunno 2009 per la AICC – Associazione Italiana Collezionisti Cavatappi