Nel riordinare le carte del mio studio mi sono capitate tra le mani delle vecchie fotocopie ingiallite di alcune pagine di un libro edito dall’Ufficio Stampa del Comune di Milano nel 1969, intitolato “Collezione di Collezionisti milanesi”. Viaggiando tra i collezionisti ci siamo fatti collezionisti, scrive l’autrice Elena Pelizzoni, Abbiamo collezionato una collezione di collezionisti. Lontani, s’intende, dalle grandi raccolte, dalle mostre preziose di oggetti preziosi… Siamo rimasti nel cerchio modesto dell’intelletto e del sentimento che soddisfa un‘esigenza personale e che è caccia, lotta, conquista di un oggetto ricercato, di unico, per ciò che uno ha, e gli altri non hanno…”.
Scorrendo le pagine di questa pubblicazione si incontrano gli storici collezionisti milanesi di quel tempo: Gino Maggioni (chiavi, serrature e casseforti), Giuseppe Crippa (collezionista di tutto ciò che è di ferro e di ghisa), Luigi Pippa (antichi utensili di orologeria), Piero Riva (clessidre), Marco Contini (grammofoni), Giancarlo Pinton (ferri da stiro), e così via. Si legge inoltre, I più noti patiti di cavatappi sono tre: Enzo Panbianco, un serio professore con la casa nel cuore della vecchia Milano, colleziona con spirito scientifico; Fernando Brecciaroli, disegnatore fotolitografo, sistemato sui Bastioni in una mansarda mezza pazza e mezza geniale, li raccoglie per allegria, e Giuseppe Antonio Borghese per estrema raffinatezza, poiché disprezza tutti quelli che non sono di legno di bosso.
Panbianco, dicevamo, è uno scientifico. Il cavatappi, per lui, sta come l’ultimo anello della catena dell’industria del vino… Strumento che già appartiene al passato perché la civiltà moderna, dopo essere anch’essa arrivata al collo della bottiglia, ha scoperto il tappo di plastica e addio l’ultima deduzione, addio la vite maschiata e quella figlia, le alette, la leva, semplice e multipla, la manovella e via dicendo. Resta, in compenso, nelle mani di Enzo Panbianco, un oggettino del ‘700 “squisito, gentile, delicatissimo” che ha iniziato anni or sono la collezione.
A Fernando Brecciaroli, invece, i cavatappi ricordano i brindisi e, di conseguenza, le liete ricorrenze. “Per questo li tengo – dice- perché sono allegri”. Alle sette di ogni sabato mattina è là tra le bancarelle della fiera di Sinigallia a vedere se c’è un modello che non possiede ancora. Se c’è non se lo lascia scappare. Così ne ha più di duecentocinquanta, sistemati nei ventidue metri quadrati della sua mansarda, tra i muri e i sassi delle Dolomiti (opera sua), le travi e gli oblò (sistemazione sua), due registratori, cinque ventilatori, condizionatori, il profumatore elettrico e altre quindici macchine e macchinette del pari elettriche e tanti aggeggi che non si sa come stiano in uno spazio così ristretto. E ogni cavatappi ha un nome e una personalità. “Il primo che ho comprato – dice – è così fragile che mi son detto: poveraccio, se lo uso si rompe. Ma gli voglio bene. Più che agli altri”. Cavatappi a molla, di legno dipinto, con maniglietta e lo spazzolino per pulire l’imboccatura delle bottiglie, in ottone, in legno, in avorio, con cuscinetti a sfera, da viaggio, per le mani delicate delle signore che debbono aprire flaconcini di profumo e, per finire, complicati strumenti inglesi che si allungano ‘come pantografi‘ e che, nel linguaggio fiorito di Brecciaroli, sono gli ‘scienziati’ della collezione.
Mentre che scrivo e che trascrivo queste brevi note, mi viene in mente che le fotocopie di questa pubblicazione me le fece gentilmente avere Giuseppe Crippa, che insieme alla moglie Nuccia, fu per molti anni Socio della nostra associazione, la AICC; Fernando Brecciaroli partecipò alla fondazione della AICC, ma poi, … per distrazione, o perché preso da altri interessi smise di frequentarci.
Ho conosciuto nei primi anni 80 la vedova del professor Enzo Panbianco: aveva un piccolo negozio di antiquariato sui Navigli. Quando seppe che cercavo dei cavatappi, mi spiegò che suo marito era stato un grande collezionista, ma che la collezione era stata ormai venduta. Rovistando in un antico cassettone ritrovò due o tre esemplari che era disposta a vendere e che volentieri acquistai: il collezionista che prima di me rilevò l’intera collezione può stare tranquillo… non erano, per quel che ricordo, esemplari di gran pregio.
All’inizio degli anni 80 si frequentavano con ardore i mercati di antiquariato, alla continua ricerca di esemplari sempre diversi: Bollate, i Navigli a Milano, Castiglione Olona erano gli appuntamenti fissi, a cui si aggiunsero Casale Monferrato e Fontanellato. I collezionisti conoscevano gli antiquari che trattavano abitualmente cavatappi e viceversa: a quei tempi si ritornava quasi sempre a casa con qualcosa. Eravamo meno esigenti e l’offerta era certamente maggiore.
Fu a Londra, in un mercato di King’s Road, che la signora Sue Emerson, antiquaria specializzata in cavatappi, mi disse: “Ma lei che è di Milano, non conosce l’ingegner Paolo De Sanctis? E’ uno dei maggiori collezionisti, non è possibile che lei non ne abbia sentito parlare!” Rientrato a Milano mi misi in contatto con lui e da quel giorno la mia “professione” di collezionista subì una ulteriore accelerazione.
Alto, bizzarro di suo, come fu definito da una nota giornalista, l’Ingegnere mi mostrava con non curanza alcuni esemplari della sua sconfinata collezione, passando indifferentemente da modelli di grande valore (che prima di allora avevo visto solamente sui libri) ad esemplari meno importanti, ma sempre accomunati da alcune caratteristiche: la bellezza della forma, il design raffinato, il giusto rapporto tra forma e funzione, la raffinatezza dei materiali, nonché il sapore conferito dal tempo; tutto questo indipendentemente dal marchio o dal brevetto. Si, perché l’Ingegnere su queste caratteristiche ha fondato la sua filosofia di collezionista: non importa la rarità del brevetto o il marchio, ciò che lo attrae è la bellezza essenziale dell’oggetto, o, meglio, come si usa dire oggi, il design; a questo proposito, infatti, ama spesso citare la prefazione scritta da Pierre Bernard nell’edizione francese del famoso libro di Bernard Watney e Homer Babbidge.
Nel 1987, presentato da Paolo De Sanctis e da Gianni Giachin, vengo ammesso e divento socio della ICCA (International Corrispondence of Corkscrew Addicts), la prestigiosa ed esclusiva Associazione di collezionisti di cavatappi, fondata a Londra nel 1974, da Bernard Watney, dallo stesso Paolo De Sanctis e da pochi altri ‘pionieri’.
Ed ecco che nel corso del 1988 prese corpo l’idea di dar vita ad una Associazione italiana che riunisse i collezionisti di cavatappi.
Maurizio Fantoni